Sentenza Suprema Corte di
Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. n.
2729 del 5 febbraio 2008
''Risarcimento del danno alla salute: la patologia
riscontrata deve essere la causa del malessere lavorativo''
Con sentenza del 5 febbraio 2008, n. 2729, la
sezione lavoro della Corte di Cassazione ha stabilito che il
dipendente che lamenta una depressione derivante dalla umiliazione da
demansionamento, deve presentare una documentazione medica
attestante che la patologia riscontrata sia causa del suo malessere
lavorativo: serve, dunque, la
documentazione medica che manifesti espressamente il nesso causale fra il
demansionamento ed il danno all’integrità psico-fisica rivendicato dal
dipendente e non basta una mera ipotesi di collegamento tra
la patologia riscontrata ed il malessere lavorativo.
Per la Cassazione, se non è possibile in termini certi
ricostruire causa ed effetto delle patologie (e specificatamente come in
quello della depressione, che può essere riconducibile a diversi fattori),
la dimostrazione del nesso causale può essere espressa in termini di
probabilità, ma non certamente di possibilità.
Per tali ragioni la Corte di Cassazione ha escluso, nel caso di specie, il
riconoscimento del danno alla salute per il lavoratore in quanto la
certificazione medica prodotta accennava solo in via ipotetica l’esistenza
di un rapporto fra l’infermità ed il malessere sul lavoro.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE LAVORO, SENTENZA N. 2729 DEL 5 FEBBRAIO
2008
Presidente Mercurio - Relatore Miani Canevari
Pm Velardi- Ricorrente OMISSIS - Controricorrente Croce
Rossa Italiana
Svolgimento del processo
OMISSIS, dipendente della Croce Rossa Italiana, ha
convenuto in giudizio l'ente datore di lavoro deducendo di aver subito un
demansionamento, in violazione dell'art. 2103 cod. civ., e chiedendo, oltre
a riconoscimento del diritto all'assegnazione di mansioni corrispondenti
alla qualifica spettante, il risarcimento del danno.
Il giudice adito ha accolto la domanda, condannando la parte convenuta sia
al risarcimento del danno professionale che del danno alla salute.
La Corte di Appello, in parziale riforma di tale decisione, ha rigettato la
domanda relativa al risarcimento del danno alla salute rilevando l'assenza
di allegazioni in ordine al nesso di causalità tra la patologia riscontrata
e la situazione lavorativa, ed in ogni caso la mancata indicazione dei
termini del danno che si assume verificato.
OMISSIS propone ricorso per cassazione con quattro
motivi, illustrato da memoria. La Croce Rossa Italiana resiste con
controricorso.
Motivi della
decisione
1. Il primo motivo, con la denuncia di omessa o
contraddittoria motivazione, censura le affermazioni con cui la sentenza
impugnata ha rilevato la carenza di allegazioni idonee a ricostruire un
nesso di causalità tra la patologia riscontrata (sindrome depressiva di tipo
reattivo) e la situazione reattiva. Si sostiene che tale nesso di causalità
risulta dallo svolgimento della vicenda della Sig. OMISSIS e dalle relazioni
mediche, che riferiscono lo status reattivo alle frustrazioni derivanti
dalla privazione delle mansioni.
Un'ulteriore denuncia di vizio di motivazione (e "violazione delle regole di
logica giuridica") viene formulata nel secondo motivo, con cui si rileva il
mancato esame dell'"entità e del modus del demansionamento". Si sostiene
che, essendo provata la gravissima lesione della posizione professionale e
della dignità personale attraverso provvedimenti arbitrari ed umiliazioni,
il giudice del merito non ha tenuto conto del "profilo circostanziale del
fatto della concreta manifestazione della condotta demansionatoria,
evidentemente patogenetica".
2. I due
motivi, da esaminare congiuntamente per la loro stretta connessione, non
meritano accoglimento.
Il giudice di appello ha rilevato che le generiche allegazioni dell'atto
introduttivo non consentono di superare la insufficienza e non
significatività probatoria della documentazione medica prodotta, in cui la
riconducibilità della patologia di disturbo depressivo al disagio lavorativo
non è posta in termini di certezza ma solo in via ipotetica.
Si tratta dunque un tipico giudizio di fatto censurabile in sede di
legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione; ma tale vizio
sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla
sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi
della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti
e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte. Il sindacato
della Corte di Cassazione è infatti limitato al controllo sotto il profilo
logico formale e della correttezza giuridica, dell'esame e della valutazione
fatta dal giudice del merito.
Posto che la condotta lesiva del bene protetto non può evidentemente
dimostrare di per sé il nesso tra la dequalificazione e il danno alla
integrità psico-fisica, il ricorso non identifica elementi probatori di cui
sia stato omesso o trascurato l'esame, in quanto richiama le stesse
risultanze della certificazione medica analizzata dalla Corte territoriale.
Nel valutare poi la rilevanza probatoria di questi dati, il giudice di
appello non si è discostato dai principi enunciati dalla giurisprudenza in
tema di nesso di causalità, che deve fondarsi sul criterio della
probabilità, e non giù della mera possibilità, di verificazione dell'evento
dannoso. In particolare, con riferimento all'eziologia di determinate
patologie riconducibili a diversi fattori (come nel caso di specie), si è
infatti più volte affermato che la dimostrazione di tale nesso può essere
data anche in termini di probabilità, sulla base della particolarità della
fattispecie, purché si tratti di una "probabilità qualificata" da
verificarsi attraverso ulteriori elementi, specie in relazione alla mancanza
di prova della preesistenza, concomitanza o sopravvenienza di altri fattori
determinanti (v. per tutte Cass. 21 gennaio 2000 n. 632, 29 settembre 2000
n. 12909, 11 novembre 2005 n. 12909, 18 aprile 2007 n. 9226). Secondo la
Corte territoriale, la documentazione medica indica solo in via ipotetica
l'esistenza di un rapporto tra la patologia e la situazione di disagio
lavorativo; e tale apprezzamento di fatto, che esclude il riferimento ad un
serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica, sfugge alle
critiche mosse.
3. Il
terzo e quarto motivo, che contengono la denuncia di non specificate
violazioni di legge e vizi di motivazione, riguardano la determinazione
dell'entità del danno alla salute e la sua liquidazione in via equitativa.
L'esame di queste censure resta assorbito dal rigetto dei precedenti mezzi
che investono la statuizione relativa all'insussistenza del danno
risarcibile.
4. Il
ricorso deve essere respinto con la condanna della ricorrente al pagamento
delle spese del presente giudizio liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese
del giudizioliquidate in € 10,00 per esborsi, oltre € 2.000 per onorari e
spese prenotate per debito.